Gracia Cutuli Argentina, 1937

Gracia Cutuli

È un’artista argentina diventata pioniera nell’uso del tessuto, ha infatti inserito nel linguaggio dell’arte contemporanea numerosi riferimenti alle antiche popolazioni sudamericane.
Il suo lungo percorso inizia con un periodo di formazione a Buenos Aires e a Parigi, durante il quale esplora la sperimentazione formale che le permette di combinare, sempre su un supporto tessile, strumenti e tecniche varie, dove inserisce riferimenti alla cultura andina ancestrale: un’arte in cui il tessuto viene usato come un complesso linguaggio simbolico di grande sintesi formale.
Convinta di ciò, quest’artista argentina ha svolto un ruolo molto attivo nella gestione di progetti volti alla diffusione e alla riflessione sull’arte tessile, che nel 1964 l’ha portata ad aprire a Buenos Aires la Galería del Sol, la prima galleria d’arte in America specializzata nell’esposizione di Arte tessile, e a prestare contemporaneamente una proficua attività docente presso l’Università di Buenos Aires.
Le opere esposte in questa mostra ci parlano in modo diretto del significato culturale del Cammino Principale Andino, fungendo da segnali che permettono ai visitatori di configurare delle chiavi di lettura del senso poetico racchiuso in ogni oggetto e dei riferimenti culturali sulla base delle classificazioni archeologiche, antropologiche e storiche.
L’opera “Tahuantinsuyu” è un tessile elaborato al telaio su trama di lana e cotone, che richiama il nome con il quale gli antichi Incas indicavano il vasto territorio su cui esercitavano il loro dominio, un impero andino che comprendeva varie zone dell’attuale Colombia, Ecuador, Perù, Stato Plurinazionale di Bolivia, Argentina e Cile, attraversate da una rete stradale. Nelle altre due opere presenti in questa mostra Gracia Cutuli cita il Tocapus, una parola quechua traducibile come “forma emergente dalle montagne sacre”, ovvero il modello geometrico riprodotto negli abiti da cerimonia. L’artista replica questo disegno nelle opere tessili usando colori acrilici, riportando in essi dei passi ripresi da alcuni testi poetici, per esempio: “¡Kausasiannikun! ¡Kachkaniraokun!” (Ancora siamo, ancora ci siamo) e “Tokapus e il canto di José María de Arguedas”, tratti dalla poesia “Tupac Amaru kamaq taytanchisman” (Al nostro padre creatore Tupac Amaru), del poeta peruviano José María Arguedas pubblicata nel 1962.
Il risultato di queste proposte sono veri e propri testi-intessuti che compongono una trama di linguaggio verbale e linguaggio visivo in unità poetiche a sé stanti, a partire da una visualità che ricorda un rapporto con l’astrazione molto vicina nei Paesi andini, e che rimandano la propria espressione figurativa a un codice più universale che ci pone di fronte alla perenne coscienza sulla sua identità.